Prodotti del Sud: le frittole calabresi

È un piatto tipico della Calabria che gode del riconoscimento P. A. T. e cioè di Prodotto Agroalimentare Tradizionale del nostro Paese. Si realizza con gli scarti del maiale e perciò interiora, ossa con pezzi di carne e pelle. Si cucina all'interno di una grande pentola detta "quadrara" per almeno 5 ore. Il primo step consiste nel riscaldare il grasso macinato dell'animale.

Questa operazione avviene all'interno di un tegame di rame stagnato che, in dialetto, è chiamato "caddàra". La preparazione richiede il vero e proprio foderare il pentolone con il grasso perché, in questo modo, a seguito dell'aggiunta di acqua salata, esso si scioglierà pian piano. Una volta sciolto il grasso, si aggiungono le costine e parti quali collo, cotenna, gamboni, guancia, lingua, pancia e rognoni e si lasciano a bollire a fuoco molto lento per la durata sopra indicata.

Durante questo lasso di tempo, bisognerà aggiungere di tanto in tanto il sale e provvedere a rimescolare. In tal modo, la carne assumerà il sapore del grasso e diventerà morbida, il che permetterà di mangiare anche le cartilagini. Il tutto andrebbe consumato caldo. Ciò che rimane sul fondo del pentolone, in pratica pezzi di carne, cotenna e sugna di piccole dimensioni, si solidifica e può consumare da solo o adoperare per altre ricette. A Reggio Calabria e dintorni, questi resti prendono il nome di "curcùci" mentre, a Catanzaro, di "risimoglie". Si tratta di un qualcosa di simile ai ciccioli di Napoli.

I curcùci si usano per realizzare la polenta con i broccoli, in inverno e un tipo di pizza in crosta richiusa, per il Lunedì dell'Angelo. Anche le frittole si mangiano durante i periodi festivi come quello natalizio e pasquale, ma non solo. A Reggio, ad esempio, si preparano anche in occasione della Festa della Madonna della Consolazione, che è la patrona della città.