Storia del Sud Italia: Andrea Chiaramonte e la fazione dei Latini

La Sicilia può vantare un glorioso passato, caratterizzato da una molteplicità di eventi molto interessanti.

Per lungo tempo l'isola meridionale è stata teatro di vicende le cui conseguenze si avvertivano lungo tutta la penisola, a testimonianza dell'importanza che questa regione ha ricoperto nel corso dei secoli.

Uno di questi episodi coincide con la biografia di un nobiluomo la cui vicenda umana si conclude in maniera violenta il 1^ giugno del 1392. Ci riferiamo ad Andrea Chiaramonte, il capo della cosiddetta Fazione dei Latini, alleanza di aristocratici siciliani che risale alla fine del XIV secolo.

I baroni conosciuti con tale denominazione si opponevano al dominio aragonese (1282-1410) ed erano alleati del partito ghibellino. Occupavano la zona orientale della Sicilia, soprattutto le aree intorno alla Val Demone, Val di Mazara e Girgenti. I loro avversari erano noti come Fazione dei Catalani. A capo dei Latini (o "Italiani dell'isola") i Chiaramonte, una famiglia di origine francese, per la precisione della Piccardia, giunti sul posto insieme a Ruggero I d'Altavilla.

Chiaramonte Sicilia
Stemma della famiglia Chiaramonte.

Andrea era conte di Modica e, perciò, esercitava il suo potere sui centri di Chiaramonte Gulfi, Comiso, Giarratana, Ispica, Monterosso Almo, Pozzallo, Ragusa e Scicli. Inoltre, fu signore di Caccamo, Castronovo, del castello di Palma di Montechiaro e di quello di Mussomeli. Ereditò dal parente Manfredi III anche il titolo di conte di Malta e Gozo. La sua corte era stabilita presso il Palazzo Steri, a Palermo.

Successore di Manfredi, continuò la politica contraria agli aragonesi, sancita dal giuramento di Castronovo, sostenuta da Papa Bonifacio IX. Fu uno dei principali animatori di questo movimento e si trovò a combattare con il solo aiuto degli Alagona contro l'esercito catalano di Bernardo Cabrera, quando, grazie al matrimonio con Maria d'Aragona, Martino il Giovane divenne re della Sicilia. Barricatosi a Palermo, riuscì a resistere un mese prima di arrendersi. In un primo momento, gli fu promessa l'incolumità e fu risparmiato, ma, poi, arrestato a tradimento, fu processato e giustiziato tramite decapitazione di fronte al suo palazzo, in città. A seguito di tale avvenimento, nel volgere di poco, il casato si estinse e le sue proprietà passarono ai Cabrera.