Storia del Sud Italia: i moti siciliani

Cade oggi l'anniversario della sollevazione palermitana che diede il via agli eventi relativi al biennio 1820-21, anche, nel Mezzogiorno d'Italia. La rivolta affondava le sue radici nella plurisecolare vocazione indipendentista siciliana e nelle trasformazioni successive al Congresso di Vienna. Infatti, bisogna premettere che, a seguito della restaurazione dei sovrani di tutta Europa sui loro troni dopo la sconfitta di Napoleone, re Ferdinando di Borbone unì i suoi possedimenti sotto un'unica corona istituendo il Regno delle Due Sicilie (8 dicembre 1816).

Tra le conseguenze di questa decisione ci furono lo spostamento della capitale del reame a Napoli e la nomina a luogotenente della Sicilia di Francesco, duca di Calabria, primogenito del monarca partenopeo. La popolazione e la nobiltà isolane iniziarono così a covare una malcelata insoddisfazione che ebbe modò di venire a galla, appena, alcuni anni dopo. Infatti, il 1^ gennaio 1820, in Spagna, scoppiava una ribellione per merito di alcuni ufficiali dell'esercito iberico, i quali ottennero il promulgamento di una Costituzione. Questo successo ebbe l'effetto di innescare tentativi simili in tutto il Vecchio Continente e, quindi, pure, nella Penisola.

L'epicentro delle proteste nello Stivale fu il Sud Italia. Sulla scia delle notizie che giungevano dall'estero, a Palermo si sviluppò un movimento formato da baroni e esponenti dei ceti popolari che, il 15 giugno, diede il via ai tumulti procurandosi all'incirca 14.000 fucili dall'arsenale cittadino. Alla testa dei rivoltosi il principe Giuseppe Alliata di Villafranca. Tre giorno dopo nasceva un governo locale, presieduto dal principe Giovanni Luigi Moncada di Paternò. Il 16 luglio il parlamento siciliano ripristinava la costituzione del 1812. Il 23 dello stesso mese fu presentata una richiesta al governo napoletano per ottenere il rinascita del regno di Sicilia, pur sempre nelle mani dei Borbone.

Dal continente, però, giunse un netto rifiuto e (il 30 agosto) l'esercito agli ordini del generale Florestano Pepe. Si trattava di 6.500 soldati cui si aggiungevano quelli di stanza a Messina, che erano rimasti fedeli alla corona. Il 22 settembre, Pepe si accordò affinché la questione politica fosse affidata ai rappresentanti dei comuni che stavano per essere eletti. Tuttavia, il Parlamento partenopeo rifiutò di ratificare l'accordo e sostituì Pepe con Pietro Colletta, il quale il 22 novembre successivo riuscì a ristabilire il potere del governo costituzionale. Questo fu soppresso solo nel marzo 1821, a seguito dell'intervento austriaco a sostegno di re Ferdinando.