Il centro meridionale dove si venera una Madonna Nera

È stata oggetto di interesse di Cicerone. Salvatore Quasimodo le ha dedicato una poesia e da pure il titolo ad un romanzo del Commissario Montalbano.

Ci riferiamo a Tindari, frazione del comune di Patti che sorge nei pressi di Messina, in Sicilia. L'antico oratore romano ne parla nel suo "Verrine", il poeta di Modica l'ha cantata in "Vento a Tindari" e, nel 2000, ispirato, Andrea Camilleri ha scritto "La gita a Tindari".

Gli abitanti del posto sono detti, anche, tindaridei in onore di Tindaro, mitico re di Sparta in Grecia e padre dei Dioscuri. Sorge su un promontorio, a 268 mt di altitudine, a picco sulla riserva naturale orientata dei laghi di Marinello. Fu fondata nel IV secolo a. C. dal tiranno di Siracusa Dioniso I.

Tindari Riserva
Riserva dei laghi di Marinello.

Durante la I Guerra Punica ospitò una base navale cartaginese e, nelle sue acque, nel 257 a. C., si combattè l'omonima battaglia che vide i romani avere la meglio sugli avversari punici. Nel corso del dominio romano, fu ancora base navale, ad esempio, con Sesto Pompeo. Fu conquistata da Ottaviano Augusto nel 36 a. C. I primi secoli dopo la nascita di Cristo furono contraddistinti da disastri naturali quali una frana e 2 terremoti. Con il crollo dell'impero romano, fu sede vescovile e, nel 535, finì in mano bizantina per poi essere distrutta dagli arabi, nell'836. Sul posto rimase il Santuario che oggi ospita la famosa Madonna Nera, oggetto di culto e al centro di diverse leggende.

Tindari Madonna Nera
La Madonna Nera di Tindari.

Si racconta che le origini della statua siano legate ad un viaggio in mare. Per sfuggire alla furia iconoclasta che imperversava in Oriente, fu trasportata fino in Occidente. Giunti nei pressi della baia su cui affaccia Tindari, i marinai si fermarono per trovare riparo da una tempesta. Una volta passata, non riuscivano, però, a prendere il largo. Abbandonarono, quindi, sulla spiaggia tutto il loro carico, ma la situazione non cambiò. Solo quando portarono sulla terra ferma il simulacro santo, furono liberi di ripartire. Lasciata sul posto, la Madonna fu portata al sicuro in una chiesetta sul colle soprastante e lì è rimasta fino ad oggi. Altra leggenda vuole che una donna siciliana non troppo bella, con la figlia neonata, si recasse in pellegrinaggio al Santuario. Una volta di fronte alla statua, delusa, affermò: "Hàju vinutu di luntana via, ppi vidiri a una cchiù brutta di mia!" (Sono venuta da lontano, per vedere una più brutta di me!). A quelle parole si rese conto che la non aveva più in braccio la sua bambina. Questa era caduta in mare e rischiava di affogare. Disperata, la madre cercò di raggiungerla e, a quel punto, successe qualcosa di miracoloso. Ad ogni suo passo, le onde lasciavano spazio alla sabbia. In questo modo, la piccola fu salva e fu chiaro che il tutto fosse avvenuto per volontà della Madre di Dio. La scultura è in cedro del Libano, ha tratti che rimandano all'arte orientale ed è databile tra la fine dell'VIII e l'inizio del X secolo. Ascrivibile alla tipologia della Teotoca Odigitria, è rappresentata come un'imperatrice bizantina, seduta in trono con in braccio il Bambin Gesù. Reca la scritta "Nigra sum sed Formosa" ("Sono nera, ma bella"), che compare ne "Il Cantico dei Cantici".

Tindari rovine
Rovine nei pressi di Tindari.

Altra vicenda fantastica che interessa il promontorio dove sorge l'edificio di culto è quella relativa ad una grotta in loco che ospiterebbe una strega capace di ammaliare i marinai con il suo canto, per poi divorarli. Nella zona archeologica si trovano i resti della città antica. Siti di interesse sono le rovine della mura cittadine, la basilica, il teatro greco e l'isolato che risale all'epoca romana. Alla base del promontorio si trovano una serie di piccoli specchi d'acqua protetti, dove, ulteriore leggenda, sarebbe morto Papa Eusebio, il 17 agosto del 310, a seguito dell'esilio ordinato dall'imperatore Massenzio. Infine, c'è chi sostiene che l'origine dei laghi sia da rintracciare nel miracolo compiuto dalla Madonna, di cui abbiamo scritto sopra. Qui si produce il "Mamertino D. O. C." che Giulio Cesare cita nel suo "De Bello Gallico".