Massimo Giletti stavolta l'ha combinata troppo grossa: "Hai esagerato, non dovevi farlo"

Il noto conduttore Massimo Giletti è tornato al suo ruolo di giornalista, raccontando in loco la guerra in Ucraina e finendo per ricevere non poche critiche. Stavolta un altro duro colpo gliel'ha inferto un collega di La 7 che si è aggiunto alla aspre parole già pronunciate recentemente da Selvaggia Lucarelli: Corrado Formigli. Quest'ultimo, che ha documentato la guerra in passato come inviato, si è scagliato contro il presentatore, sottolineando che non gli è affatto piaciuto il suo servizio da Odessa, e che si unisce animatamente alle già numerose voci che hanno contestato il suo operato. Pur non nominando colui che da anni è al timone di Non è l'Arena, Formigli ha espresso le sue critiche senza lasciare molto spazio a una diversa interpretazione: il suo attacco era rivolto proprio a Massimo. Corrado , giornalista e corrispondente di guerra, ha criticato l'opera di Giletti senza citarlo.

Queste le sue parole: “Io credo che il collegamento in esterna debba portare un valore aggiunto e oggi quel valore aggiunto è il reportage dai luoghi che non riusciamo a raggiungere e conoscere, risvolti della guerra che non sono stati ancora mostrati. Penso che oggi il ruolo di un conduttore sia quello di stare in studio e far lavorare i propri inviati da lì. Trovo meno interessante l’idea di andare lì per dire di esserci”. Affermazioni che lasciano capire chiaramente il suo riferirsi a Giletti. D'altra parte a pronunciare tali frasi è un uomo che ha ha alle spalle un'ampia esperienza da giornalista. Basti pensare che ha lavorato come inviato di Moby Dick per il bombardamento del 1999 sul ponte Brankov a Belgrado. Per lui la diretta dalla guerra va realizzata in seguito a una vera e propria campagna, quando s'intende dire qualcosa di fondamentale in modo dettagliato.

Successivamente ha anche annunciato che tipo di lavoro farebbe lui da Odessa: “Qualora dovessi andarci, mi piacerebbe fare qualcosa che gli inviati non sono stati in grado di fare, prendermi anche dei rischi che non mi sentirei di far correre ai miei inviati. È il motivo per cui non mi è venuto in mente di partire, ma è la mia linea sulla guerra, fermo restando che ognuno ha la propria sensibilità e lo rispetto profondamente”. In qualità di giornalista, ha poi ribadito che una pandemia e una guerra richiedono approcci diversi: “Il Covid imponeva di inchinarsi alla competenza, perché la scienza noi non la conosciamo. Ma il tema della guerra e della pace non è solo per addetti ai lavori, io questo lo rifiuto. Un filosofo non può pensare a cosa sia la guerra? Un giornalista che ha seguito conflitti non può parlare di questi temi? Chiaro che ci affidiamo agli esperti per capirne sfumature e risvolti, ma per essere pacifisti o interventi non c’è bisogno di essere laureati in relazioni internazionali”.

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