Una città del Sud celebra Giovanni Verga a 99 anni dalla scomparsa

Oggi, il Sindaco di Catania Salvo Pogliese e l'Amministrazione del comune siciliano hanno celebrato uno dei più grandi scrittori italiani a 99 anni dalla sua scomparsa, il padre del "Verismo" italiano: Giovanni Verga. Una cerimonia ridotta, nel rispetto delle norme anti- Covid, in cui l'Assessore agli eventi culturali Barbara Mirabella, ha presentato una corona di fiori sulla tomba dello scrittore, come simbolo dell'eterno legame tra Catania e Verga che vi morì il 27 Gennaio del 1922.

Questa piccola commemorazione vuole essere solo un gesto simbolico in attesa del 2022, l'anno che segnerà il centenario della scomparsa dell'artista e per cui sono già previste manifestazioni letterarie che rievocheranno il genio siciliano, sia nell'arte che nella vita privata. Questa celebrazione vedrà una partecipazione molto più ampia, l'insieme delle istituzioni e delle Fondazioni dedicate a Giovanni Verga: Sovraintendenza, Università, Fondazione Verga, Fita (Federazione Italiana Teatro Amatori), Parco Archeologico e eredi che hanno curato da sa sempre le celebrazioni in onore dello scrittore.

Giovanni Verga, nato a Vizzini il 2 Settembre 1840, apparteneva alla borghesia catanese di "galantuomini", quei nobili d'animo, eleganti e e distinti ma con scarse risorse finanziarie. Il patrimonio letterario lasciato da Verga è immenso e incommensurabile, viene chiamato "verismo" per un motivo preciso: è l'attitudine al racconto vero, nudo ed essenziale che raggiunge vette altissime, quasi dolorose, trasformandosi in poesia allo stato più puro. 

L'essenziale è forma assoluta della prosa di Verga, anche se i temi sono molto complessi e vanno a descrivere una condizione umana miserabile e genuina, di una terra, la Sicilia, che vessava in condizioni di particolare disagio, raccontato in modo emblematico nel romanzo "I Malavoglia" la storia di una famiglia di pescatori tenacemente legati alla loro terra, alle tradizioni, alla lotta costante con il mare e la miseria.

“Tenevamo gli occhi fissi nel cielo, e mi pareva che le anime nostre si parlassero attraverso l'epidermide delle nostre mani e si abbracciassero nei nostri sguardi che s'incontravano nelle stelle.” ( da "Storia di una Capinera" G. Verga)