L'amore di una madre diventa Monte: la leggenda di Maja

Dopo il Gran Sasso, la Majella, è il secondo massiccio montuoso più alto degli Appennini, che nell'omonimo Parco Nazionale, ospitava 4 delle comunità montane più antiche d'Italia (poi abolite nel 2013). Ha un paesaggio meno roccioso e più verde del Gran Sasso, quasi fosse più morbida la sua roccia, come la pelle di una donna.

E' stata popolata dai Marrucini (popolo italico del I millennio a. C.) dai Sanniti (popolo Italico a cui apparterrebbero molte delle stirpi successive al I millennio a. C. come i Volsci, i Lucani e gli Irpini)e i Peligni (popolo italico del I millennio a. C. i cui discendenti risiedevano ancora in queste terre fino al 2013) che vennero poi assoggettati dall'Impero Romani. Nel Medioevo queste terre furono meta di molti fedeli cristiani, che cercarono pace e silenzio tra le alte vette facendone il luogo eccellente per l'eremitaggio.

Passò nell'800, questa parte dell'Abruzzo, divenne rifugio di Briganti,  che dopo l'Unità d'Italia, cercarono costantemente un luogo al riparo dalla guardia Nazionale. Fu tale la presenza dei briganti in queste terre (tra Pescocostanzo, Sant'Eufemia a Majella e Serramonacesca) da lasciarne un simbolo storico: la tavola dei briganti; una roccia scolpita con graffiti sopra Pretoro (ora località sciistica).

In queste stupende terre, con tanti animali diversi a impreziosirne ancora di più i luoghi e gli sconfinati paesaggi mozzafiato dalle alte vette, nasce una storia dolorosa; la storia di una madre a guardia eterna del proprio bambino.

La leggenda di Maja

Maja era la prima delle 7 Pleiadi, le ninfe figlie di Atlante e Pleione. Era bellissima la ninfa, alta bionda e fiera. Attirò su di sé le attenzioni del padre degli dei, Zeus, che volle giacere con lei in una grotta del Monte Cillene, dalla loro unione nacque Ermete, un bambino gigantesco. A seguito di una battaglia, il bambino Ermete, venne ferito, impaurita allora Maja, decise di fuggire per portare suo figlio in salvo.

Attraversò il mare e arrivata su una cosa scelse di proseguire fin sul monte più alto, per paura di esser stata seguita da chi voleva uccidere suo figlio. Camminò a lungo, finché giunta in cima trovò come riparo una grotta in cui allestì il suo rifugio, dedicandosi completamente a curare suo figlio ferito con le erbe mediche. La sua scorta finì che il Ermete era ancora debole e malato, la sua ferita non voleva saperne di guarire, decisa a trovare l'erba medica in quelle terre uscì a cercarla; fece solo pochi metri e si rese conto che la neve aveva sepolto tutto e che sarebbe stato impossibile trovare qualsiasi cosa.

Pochi giorni dopo, Ermete morì. Sua madre lo pianse per giorni, abbracciata al suo enorme corpo, quando non ci furono più lacrime Maja decise di seppellire il suo adorato figlio. Lo fece in una notte. La mattina dopo, gli allevatori, i coltivatori e chiunque guardasse a Oriente scorse una nuova montagna, dal profilo soave di un "gigante che dorme".

Maja si trascinò dall'altra parte della valle, vinta dal dolore straziante per la perdita di suo figlio, giunta alla vista del profilo del suo bambino morì. La sua famiglia la trovò, riversa su se stessa, con lo sguardo fisso; la vestirono con ricchissime vesti, gemme, oro e ghirlande di fiori di ogni tipo e colore; le donarono erbe aromatiche in vasi d'oro e d'argento; infine la seppellirono.

La montagna in suo onore venne chiamata Majella e tutt'ora i pastori raccontano, che nelle giornate ventose, dall'alba a tramonto si ode il suono di un pianto cristallino e sommesso, è il pianto di una madre che soffre. In tutti i boschi e le valli del monte riecheggia il suono amaro del suo dolore, il dolore della Terra che perde, nonostante l'impegno e la tenacia suo figlio.