La storia di Anna Pantò, la prima serial killer che vendicava le donne

Paladina delle donne maltrattate e di coloro che erano infelici. Questo sosteneva di essere Anna Pantò, cittadina della Palermo del XVIII secolo. Cresciuta in una realtà sociale difficile per donne e, in generale, per i più poveri, la Pantò è passata alla storia come un'assassina seriale, anche se lei la vedeva in maniera diversa. Cerchiamo di fare chiarezza, ripercorrendo la sua storia.

Notizie biografiche su Anna Pantò

Le vicende che la riguardano mescolano storia e fantasia. Infatti, da quanto è stato documentato su di lei ha avuto origine una leggenda, che ancora oggi è possibile ascoltare per le strade del capoluogo siciliano. Vissuta durante il regno del Viceré Domenico Caracciolo, nel 1744, sposò tale Vincenzo Bonanno. Non a caso, nei carteggi del processo che la riguardano, è indicata come Giovanna Bonanno. Il nome diverso è plausibile fosse dovuto ad un errore di trascrizione. I due abitavano nel quartiere della Zisa, dove conducevano una vita molto modesta.

La scoperta della tossina dell'aceto

Questa situazione di indigenza era destinata a cambiare, a causa di una scoperta casuale. Nel 1786, mentre era da un droghiere in via Papireto, vide una madre chiedere aiuto al proprietario del negozio, perché la figlia era in fin di vita. La piccola aveva bevuto "aceto per pidocchi", miscela di arsenico e, per l'appunto, aceto. La bimba si salvò grazie a un sorso di olio, che le permise di rimettere. Però, l'episodio ispirò Anna che, in quella pericolosa sostanza, intravide una "spietata" possibilità di riscatto. Del resto, in una società dove la divisione in classi era molto rigida, le difficoltà quotidiane e la vita di stenti alimentavano la rabbia e la volontà di rivincita dei meno fortunati.

L'esperimento

La prima cosa da fare era essere sicura che il miscuglio fosse efficace. Acquistato l'aceto, lo versò su un pezzo di pane e lo diede da mangiare ad un cane. Mortò l'animale, verificò che fosse impossibile o, comunque, complicato capire le cause del decesso. Un veloce esame della mucosa delle labbra la tranquillizzò. Non si notavano tracce di avvelenamento. Allora, decise di mettere in atto la sua rivalsa.

Le morti misteriose

Da quel momento, diffuse la voce che possedeva un liquido "arcano", che poteva dare la "tranquillità alle famiglie". La prima cliente fu la vicina di casa, che voleva separarsi dal marito. Poi, toccò ad uno sposo infedele e, ancora, ad un nobile, che aveva sprecato la fortuna di famiglia. Con il passar del tempo, la sua fama aumentò e, perciò, iniziò ad essere conosciuta come "la vecchia dell'aceto". Sembra che, quando ritirava il suo compenso, dicesse: "U Signuri ci pozza arrifriscari l'armicedda" (Il Signore possa rinfrescargli l'anima).

anna pantò leggenda

La cattura e il processo di Anna Pantò

Le cose andavano per il verso giusto finché non commise un errore. Anna o Giovanna, che dir si voglia, si serviva di un intermediario per vendere il veleno, una sua amica, di nome Maria Pitarra. Questa le trovò una cliente, che avvelenò il figlio di un'altra Giovanna, Lombardo, sua compagna. Quest'ultima decise, quindi, di farsi giustizia. Approfittando del fatto che la nuora intendeva uccidere il marito, organizzò una trappola. Al momento della consegna, la Lombardo si presentò con quattro persone. Anna fu colta in flagrante e, di conseguenza, arrestata. Il processo inizò nell'ottobre 1788. La vecchia si difese e affermò di offrire un servizio socialmente utile, per chi voleva "riconquistare la serenità". Condannata per "veneficio" e "stregoneria", il 30 luglio 1789 fu impiccata in piazza degli Ottangoli (oggi i Quattro Canti).

La leggenda della vecchia dell'aceto

La vicenda di cronaca lasciò, in maniera rapida, il posto a quella di fantasia. Appena un mese dopo la morte, si tenne uno spettacolo teatrale dal titolo "La vecchia dell'aceto" e, ben presto, si fece strada la voce che il fantasma della donna vagasse per i vicoli di Palermo. Opinione che, tuttora, esiste.

La prima "femminista" della storia

Ovviamente la parola "femminista" in questo caso va presa con le dovute pinze, ma ci azzardiamo a definirla così perché in qualche modo Anna si è battuta per le donne maltrattate ed è riuscita a crearsi una propria indipendenza, seppur con un metodo decisamente opinabile. Sicuramente la sua determinazione, traslata nel nostro tempo e declinata ad attività di altro tipo, avrebbe dato luogo a un bell'esempio di donna autonoma.