Leonardo Sciascia: "Bisogna andare in Sicilia per constatare quanto è incredibile l'Italia"

Leonardo Sciascia nato a Racamulto nel 1921, è uno dei grandi narratori del 900, un genio, sfrontato, anticonformista, chirurgo nel sezionare tutte le parti della sua amata Sicilia, distinguerne le meraviglie, le contraddizioni, i giochi di parole, quel detto non detto amaro e dolce allo stesso tempo.

Sciascia è siciliano, fiero siciliano, tanto da coniare un termine che concilia al suo interno le idee, la cultura credi esistenziali, il senso della vita di tutti i siciliani, la sicilitudine. Uno scrittore di denuncia, avversario della mafia in tutto e per tutto, che fa del senso di giustizia il pilastro di ogni suo romanzo, ma sempre con umorismo, sempre con quell'ironia intelligente che lo contraddistingue. Lo storico, l'indagine dei motivi storici, dell'evoluzione della Sicilia e dell'Italia intera sotto tutti i profili, sia sociali che politici.

Un uomo schivo e riservato che ha conquistato un posto nell'olimpo degli artisti del secondo Novecento italiano. I suoi romanzi sono esempio di scrittura asciutta, intelligente e allo stesso tempo pungente. Molti dei suoi romanzi sono stati poi sceneggiati nel cinema, diventando a loro volta capolavori inestimabili del cinema italiano. Registi dall'elevato calibro come Elio Petri (A ciascuno il suo 1967), Damiano Damiani (Il giorno della civetta 1968),Francesco Rosi (Cadaveri eccellenti 1971) e Gianni Amelio (Porte aperte 1987)hanno reso i romanzi di Sciascia immagini immortali di uno spaccato italiano su celluloide.

Gran parte della sua opera è una ininterrotta inchiesta sull'Italia di ieri, sempre attuale, ricostruita attraverso il passato, che parte sempre dalla Sicilia e lì termina con l'eleganza della scrittura del giallo che descrive la verità contro quei pregiudizi che hanno dominato l'intera penisola: "Forse tutta l'Italia va diventando Sicilia...E sale come l'ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l'Italia, ed è già, oltre Roma " (Il giorno della Civetta 1961).

A 31 anni dalla sua scomparsa lo ricordiamo con una dichiarazione scritta in uno dei suoi numerosi libri nelle interviste di Marcelle Padovani: "Sì, ci credo. Nella ragione, nella libertà e nella giustizia. Credo si possa realizzare, anche se non perfettamente, un mondo di libertà e di giustizia che sono, insieme, ragione. Ma la storia siciliana è tutta una storia di sconfitte: sconfitte della ragione, sconfitte degli uomini ragionevoli. Da ciò lo scetticismo, che è salutare. E' il miglior antidoto contro il fanatismo. Impedisce cioè di assumere credenze e idee con quella certezza che finisce con l'uccidere l'altrui libertà e la nostra." (La Sicilia come metafora 1979)