'O ciucc e Fechella: storia del simbolo del Napoli

La squadra di calcio della città di Napoli è una tra le più importanti del Sud Italia. Nelle sue fila hanno militato giocatori di tutto rispetto, tra cui quello che è riconosciuto come il più forte calciatore di tutti i tempi, Diego Armando Maradona. Inoltre, quello azzurro è l'undici più titolato di tutto il Mezzogiorno. Detto ciò, potrebbe sembrare strana la scelta del “ciuccio” come mascotte. Per capire le ragioni dietro a questa decisione, bisogna fare un salto indietro nel tempo.

Cavallo prima che ciuccio: la nascita del club azzurro

La fondazione ufficiale della compagine partenopea risale al 25 agosto 1926, anche se, da tradizione, si anticipa al 1° di quel mese. Il presidente fondatore fu l'industriale Giorgio Ascarelli, il quale non fece altro che cambiare il nome della società calcistica già esistente, l'Internaples, in “Associazione Calcio Napoli”. In virtù dei risultati ottenuti dall'Internaples nella stagione precedente, il Napoli fu ammesso al Campionato Nazionale di quell'anno (il primo della storia calcistica italiana). Come primo simbolo fu scelto un cavallo rampante, su di un pallone, circondato dalle lettere “A”, “C” e “N”.

Una pessima stagione

L'animale scelto rimandava alla storia del Regno delle Due Sicilie, visto che si trattava del simbolo della città a quei tempi. Quindi, ancora una volta, è spontaneo chiedersi: “da dove salta fuori il ciuccio?” È facile. La prima stagione del Napoli fu un vero e proprio disastro. Su 18 partite, 17 sconfitte, un solo pareggio e ben 61 reti subite. I pessimi risultati erano fonte di discussione in città. Perciò, si racconta che al “Brasiliano”, un bar in via Santa Brigida, un tifoso esasperato affermasse:

"Chiù ca nu bell cavallo, sta squadra me pare ‘o ciucc de zì Fechella: trentasei chiaje e a cor marcia"

ovvero: “più che un bel cavallo, questa squadra mi sembra il ciuccio di zio Fechella: trentasei piaghe e coda marcia”.

L'asino che vendeva fichi

Dietro queste parole, si nascondeva una precisa ragione. All'epoca, lo stadio che ospitava le partite degli azzurri si trovava nel rione Luttazzi, dove viveva tale Domenico Ascione, soprannominato “Fichella” perché, per vivere, raccoglieva e rivendeva fichi. E lo faceva grazie all'aiuto di un ciuccio, magro ed emaciato, pieno di piaghe e con la coda malata. Il caso volle che, mentre il tifoso arrabbiato pronunciava queste parole, fosse presente un giornalista della rivista satirica “Vaco e'pressa” (Vado di fretta). E fu così che la dichiarazione ebbe una grandissima eco, che rese il ciuccio la mascotte dei calciatori partenopei.

Un po' di curiosità

Nel 1930, in occasione di una gara contro la Juventus, un asino fu portato, addirittura, in campo e, nel 1982, il testardo animale fu scelto, per la prima volta, come simbolo ufficiale della squadra. Oggi, lo stemma del club è “N” bianca, su sfondo azzurro, circondato da un cerchio di colore blu, ma il “ciucciariello” rimane ancora nel cuore dei tifosi azzurri.