Pensioni 2022-2023: quanto prenderemo col contributivo

In pensione a 62 anni, con la massima flessibilità: i sindacati non si arrendono e chiedono che questa sia la base del confronto con il governo. Ma con il generale ritorno alla contribuzione dal 2023 c'è un problema ben più radicale: si andrà verso mensilità sempre più basse

Per il 2022 il destino delle pensioni è scritto, ma il confronto governo-parti sociali è solo all'inizio e il i sindacati insistono su un'età precisa: 62. C'è però in gioco un tema molto più ampio: con i contributi puri, andare in pensione potrebbe significare avere assegni al di sotto della soglia di povertà.

In pensione a 62 anni: i sindacati non si arrendono
Governo Draghi che chiediamo di aprire una discussione sui temi della previdenza sociale - dichiara Domenico Proietti, segretario confederale Uil. - Oggi il ministro del Lavoro dichiara la sua volontà di aprire un simile confronto. La Uil ritiene che ciò dovrebbe portare all'introduzione di una più diffusa flessibilità di accesso alla pensione nella legge di bilancio intorno ai 62 anni, utilizzando anche le categorie di lavoro pesante individuate dalla Commissione Istituzionale. A questo proposito è necessario aumentare le risorse, diminuire gli anni di contribuzione per alcuni settori di lavoro da 36 a 30.

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Allo stesso tempo - continua Proietti - vanno in pensione i lavoratori delle categorie pesanti con 41 anni di contribuzione. Occorre riaccendere i riflettori sulla previdenza complementare prevedendo un nuovo semestre di silenzio-assenso per aumentare le iscrizioni ai fondi pensione. Una risposta positiva del governo su questi temi renderebbe credibile l'avvio del tavolo di discussione che deve coprire tutte le tematiche, a partire dalle future pensioni per i giovani, la valorizzazione del lavoro di cura delle donne ai fini previdenziali e il riconoscimento di un anno in i requisiti di ingresso per ogni bambino.

Come puoi vedere, ci sono molti temi sul tavolo. Riprendere subito il confronto con il governo e basta evocare lo sciopero generale. Lo spiega nell'intervista a La Stampa il segretario della Cisl, Luigi Sbarra. ''La mobilitazione del sindacato deve essere costruttiva e responsabile - avverte Sbarra - evocare continuamente lo sciopero rischia di sminuirne il valore''. Sbarra sottolinea che ''bisogna riallacciare i fili del dialogo con il governo, perché sulla manovra c'era ben poco. Occorre partire dai contenuti della nostra piattaforma sulle pensioni, che il Ministero del Lavoro conosce molto bene. Ma ci aspettiamo anche aperture su investimenti e occupazione, fisco e Pnrr, ammortizzatori e politiche attive, pubblica amministrazione e scuola.

"Serve un grande accordo governo-impresa-sindacato, che ponga le basi per la crescita e una nuova politica industriale, che colleghi le grandi transizioni in atto, garantendo un rilancio dell'occupazione.La vera sfida è quella della partecipazione per qualificare le relazioni sindacali''. ''Serve un metodo stabile di confronto con il Governo, questo è chiaro" - continua Sbarra -. Ma gli accordi si possono prendere anche in 48 ore, se c'è una volontà comune e una coerenza di comportamento, come è successo con i protocolli su salute e sicurezza e gli accordi su pubblica amministrazione e scuola. Il confronto è stato scarso sulla manovra e le lacune della legge di bilancio risentono proprio di questo deficit. Da solo anche questo governo, per quanto autorevole, non può farcela. La coesione sociale oggi è essenziale per dare profondità ed equità alle riforme. ''

Come cambiano le pensioni nel 2022
Le principali novità per il 2022 riguarderanno la Quota 102, un'ulteriore estensione alle donne e nuovi lavori gravosi del perimetro dell'Ape sociale e quella per le partenze anticipate dei dipendenti delle PMI, che al momento è limitato a chi è in crisi. La quota 102 dà la possibilità di lasciare il lavoro con almeno 64 anni di età e 38 di contributi.

L'opzione donna resta, molto confermata e in futuro potrebbe diventare strutturale. Ci sarebbe una maggioranza trasversale in Parlamento sulla “tutela pensionistica” delle lavoratrici. Nel frattempo, nel 2022, la soglia anagrafica degli accessi non salirà a 60, contrariamente a quanto indicato nel testo di entrata della legge finanziaria a fine ottobre.

La Lega punta molto sull'estensione a tutti i lavoratori delle aziende con meno di 15 dipendenti del Fondo Uscita Anticipata. Infine, potrebbe esserci la proposta, patrocinata dal Pd. Leu, M5S e sindacati, per introdurre una regola di principio per aprire la strada a una pensione garantita per i giovani. Dal 2023 si torna al percorso contributivo e questo per le nuove generazioni, in molti casi, significherà un'indennità bassa e in età molto avanzata.

Dal 2032 tutti i nuovi pensionati riceveranno assegni basati sui contributi puri, cioè prenderanno quello che hanno pagato negli anni, avendo iniziato a lavorare dopo il 1996, cioè dall'entrata in vigore della riforma Dini. calcolo dell'indennità pensionistica sulla base degli ultimi stipendi, mentre il metodo contributivo tiene conto dell'importo dei contributi effettivamente versati.

Secondo alcune stime per il 60% di coloro che sono entrati nel mondo del lavoro a metà degli anni '90, l'importo sarà al di sotto della soglia di povertà considerando anche che non c'è un supplemento al minimo. In questo contesto contributivo stanno emergendo ipotesi di uscita anticipata che possono valere per tutti: ma prima lasci la tua attività, meno contributi paghi, più magro sarà l'assegno. Anche i giovani dovrebbero essere avvertiti di questo.

Il futuro è un ritorno contributivo, non c'è dubbio. "Avremo una battaglia molto forte sulle pensioni, non può più passare il principio che si spendono soldi per le pensioni. Se i sindacati si mobiliteranno, faremo una grande mobilitazione per i giovani. Non si può più andare avanti con questo sistema” ha detto Carlo Calenda nel suo intervento alla presentazione su Facebook di "Un programma per l'Italia". "Per un lavoro più equo, efficiente e produttivo".

Il ritorno a secco al sistema contributivo significa quindi che l'indennità pensionistica sarà calcolata solo sulla base dei contributi effettivamente versati agli enti previdenziali. C'è l'idea di aprire un tavolo con le parti sociali sulla previdenza per una riforma del sistema, ma in assenza di novità la legge Fornero tornerà. Il contributore piuttosto che il futuro è il presente. La riforma delle pensioni Fornero del 2011 ha preparato numerose modifiche al sistema previdenziale italiano, segnando il passaggio definitivo dal metodo salariale a quello contributivo. Con Fornero il calcolo contributivo è stato esteso anche a coloro che erano stati “gratilati” dalla Riforma Dini, ovvero a tutti coloro che, al 31 dicembre 1995, avevano almeno 18 anni di servizio. Dal 1° gennaio 2012 il metodo contributivo è diventato l'unico metodo di calcolo dell'assegno pensionistico.

Controlli con contributi più scarsi
Il passaggio dal sistema di calcolo del salario al sistema puramente contributivo ha una conseguenza sui controlli. È ovvio, ma vale la pena segnalarlo e fare esempi concreti. Una recente elaborazione mostra un taglio netto delle indennità di circa il 37% rispetto al vecchio regime salariale. Sono recenti i dati di uno studio in provincia di Verona secondo cui 12.825 (circa il 6% del totale delle pensioni aziendali e professionali) sono già corrisposte con il sistema contributivo “puro”, cioè calcolato sulla base dei soli contributi versati. La stragrande maggioranza (9.512 pensioni, con importi medi di appena 228,68 euro) appartengono al fondo per i lavoratori parasubordinati, categoria spuria (né dipendenti né autonomi) nata nel 1995 con l'introduzione della gestione separata dell'INPS.

Nel medio periodo i contributi puri sono destinati a diventare maggioritari in tutti gli altri fondi pensione con risultati che " sono già sotto i nostri occhi - ha spiegato Adriano Filice, segretario generale del sindacato pensionati Spi CGIL di Verona - Se prendiamo ad esempio il fondo dipendenti si può facilmente notare che l'importo medio delle pensioni corrisposte con il sistema contributivo puro è del 37% inferiore all'importo medio delle pensioni erogate con il vecchio sistema salariale. L'indennità mensile media, infatti, passa dai 1.132 euro mensili del vecchio sistema salariale ai 709 euro mensili del nuovo sistema puramente contributivo.

Riduzioni simili sono note agli altri fondi, dagli artigiani ai commercianti agli agricoltori diretti. Questo taglio del 37% è destinato ad aumentare in futuro viste le condizioni delle nuove generazioni di lavoratori e lavoratrici entrate nel mondo del lavoro negli ultimi decenni, enormemente più esposte rispetto al passato a divari contributivi, periodi di disoccupazione o inattività per precarietà del lavoro. , l'instabilità del quadro economico, nonché la perdurante carenza di servizi per le famiglie e l'inefficacia delle politiche di conciliazione lavoro-famiglia”, conclude Silice.