Tumori, al Sud arrivano i 'caschi del freddo' per ridurre la caduta dei capelli

In un ospedale meridionale arrivano i "caschi del freddo" per ridurre la caduta dei capelli nei pazienti affetti da tumore, in cura con le terapie classiche. E' successo all'Ospedale San Paolo di Bari, dove i primi due caschi sono stati consegnati all'unità operativa di Oncologia. Il dispositivo si chiama "Scalp Cooler" ed è un casco refrigerante che riesce in 6 casi su 10 a frenare l'alopecia ma anche ad alleviare l'impatto profondo che tale effetto collaterale riveste per la psiche e la stabilità emotiva dei pazienti.

Donne in modo particolare, ma anche uomini, in trattamento farmacologico nell'Oncologia dell'Ospedale San Paolo di Bari che, dalla prossima settimana, avranno la possibilità di sperimentare i vantaggi di questo nuovo ausilio da affiancare alle terapie classiche. Ieri mattina nella hall dell'unità operativa di Oncologia, che è anche sede del Centro di Orientamento Oncologico (COrO), sono stati presentati i primi due esemplari di caschi perfrigeranti appena consegnati.

"Un momento molto atteso, soprattutto per ringraziare l'Associazione Cuore di Donna per l'impegno e la generosità delle volontarie e dei benefattori della Breast Unit dell'Ospedale, che hanno offerto una miriade di contributi finalizzati all'acquisto delle apparecchiature" si legge sulla pagina facebook Azienda Sanitaria Locale Bari.

"Il casco refrigerante, abbassando la temperatura corporea a livello del cuoio capelluto, riduce l'afflusso vascolare e di conseguenza limita la potenziale alopecia, legata ad alcuni trattamenti farmacologici. I risultati sono soggettivamente variabili e anche correlati ai farmaci impiegati, variando da patologia a patologia. Il casco è un sussidio supplementare al percorso farmacologico, il cui obiettivo di fondo rimane il confronto con l'aggressività della patologia", ha spiegato a Bari Today il direttore di Oncologia Nicola Marzano.

"Non è una terapia ma un sostegno importante, anche psicologico, perché aiuta a corroborare nel paziente l'adesione al percorso terapeutico e a rafforzare il livello di compartecipazione.  Non è la soluzione della patologia – conclude il direttore – ma aiuta decisamente ad affrontarla meglio".