La vittoria del Napoli è di tutto il Sud: grazie Rino, vero e grande uomo meridionale

"Io terrone? Io penso in calabrese e poi devo sforzarmi di tradurre in italiano. Io le miei origini me le porto dentro, ne vado orgoglioso". Rino Gattuso esordiva così, lo scorso dicembre, nella sua prima conferenza stampa da allenatore del Napoli. Lui, Rino, un uomo del Sud, vero e verace, alla guida di una squadra in cerca di gioie reali.

E la prima, tangibile, concreta e soprattutto sollevata al cielo, è arrivata in uno dei momenti più brutti della sua vita. Francesca, la sua adorata sorella, è morta qualche settimana fa, a soli 37 anni. "La vita dà e toglie", ha detto ieri sera Rino, visibilmente commosso, lasciandosi attraversare dal dolore ancora vivo ma dandosi anche il permesso di essere felice per il suo primo trofeo vinto da allenatore.

E per una sera, Rino, è stato proprio l'allenatore di tutti. La sua capacità di reagire al destino, anche quando è atroce, perché lui stesso incarna la vita vera, quella che può fare anche molto male, lo ha reso "uno di noi". Un uomo con le "palle", perdonateci il termine. Uno che ci ha sempre messo la faccia, anche da giocatore.

Sì, perché Ringhio in campo non le ha mai mandate a dire. E non si è mai tirato indietro quando c'era da correre e sudare. A San Siro lo hanno amato profondamente. Lui,  tredicesimo uomo, univa spalti e campo, sempre l'ultimo a mollare.

Il suo discorso, a fine partita, ha impressionato. Un abbraccio intenso con la squadra, compatto, che a vederlo dalla tv sembrava tratto da un film di Al Pacino: "Avete dimostrato senso di appartenenza, professionalità e carattere. Qui c'è gente in scadenza di contratto che deve andare via, c'è gente che piange. Siete forti. Adesso non abbiamo più pressioni, tensioni, non ne abbiamo più e giochiamo tutti. Voglio vedere il veleno".

Le sue parole non sono di circostanza, sono il frutto della sua esperienza. Perché Gattuso è uno di quei "fortunati" che è diventato "fortunato" con la fatica. Con la fatica vera. Nato a Corigliano Calabro, nel profondo e purtroppo abbandonato Sud, ha affrontato una lunga gavetta, prima di passare al Perugia a 16 anni, fino al Glasgow Rangers, per poi tornare alla Salernitana in Serie A nel 1998-99.

Nel 1999 approda al Milan, e ci mette poco a diventarne uno degli elementi imprescindibili. In tredici anni ha vinto tutto: due scudetti, due Champions League, un mondiale per club, due supercoppe Europee, due supercoppe Italiane e due Coppe Italia. In mezzo, uno mondiale con l'Italia di Lippi nel 2006 in Germania. E accanto ai trionfi, anche una delusione indimenticabile, la finale di Champions League persa a Istanbul contro il Liverpool di Benitez (da 3-0 a 3-3, con i rossoneri che poi furono sconfitti ai calci di rigore).

Da allenatore, però, è stato tutto molto più in salita. Ha iniziato sulla panchina del Sion, poi è tornato in Italia, "giù", chiamato da Zamparini a Palermo. Ma dopo appena 6 giornate viene esonerato dallo stesso presidente rosanero (famoso per i suoi vorticosi cambi di allenatore).

Nel 2014 vola in Grecia all'Ofi Creta, dove lavora in condizioni estreme, senza stipendio e strutture adeguate. Lascia e torna in Italia, al Pisa, dove riesce a farsi amare e a conquistare al primo colpo la promozione in B dalla Lega Pro, subito persa però l'anno successivo. Nel 2017 approda alla Primavera del Milan, ma dopo poco fa il grande salto alla guida della prima squadra, sostituendo Vincenzo Montella. Chiude la stagione al sesto posto e viene riconfermato. Nello scorso campionato realizza quasi un miracolo, portando il Milan a un passo dalla Champions League, con l'Inter che lo beffa nei minuti finali del match con l'Empoli.

Quella partenopea, invece, è storia fresca, ma anche a Napoli il cammino è partito in salita, visto che è arrivato raccogliendo un'eredità pesante, quella di Carlo Ancelotti, il suo mentore e maestro. E in una stagione stravolta dal Coronavirus, Rino Gattuso ha trovato il suo primo trofeo da allenatore, vinto proprio contro la storica rivale degli azzurri.

"Terrone, brutto e nero“, così Gattuso aveva raccontato di essere stato spesso etichettato nel corso della sua carriera. Ecco perché la sua vittoria è la vittoria di tutto il Sud. Onesto, schietto e, pensandoci bene, forse anche un po' troppo umile.

Foto: Instagram @gattuso.official