Ricercatori meridionali scoprono una proteina in grado di prevenire l'infarto

Un anno fa, di questi tempi, un gruppo di ricercatori meridionali otteneva il brevetto internazionale per le applicazioni terapeutiche del peptide 43-52 derivato (PSELT) della Selenoproteina T, del quale si è accertata la capacità di prevenire l’infarto e l'efficacia terapeutica sul cuore nella terapia post-infarto.

La scoperta è stata fatta da un gruppo di ricerca del Laboratorio di Fisiopatologia cellulare e molecolare cardiaca, diretto dal professor Tommaso Angelone, che opera presso il DIBEST- Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra – dell’Università della Calabria. Lo studio, studio pubblicato nel 2018, insieme al prof. Angelone è stato firmato da Carmine Rocca, Maria Concetta Granieri, R. Mazza, B. Tota, M.C. Cerra, L. Boukhzar, I. Alsharif, B. Lefranc, J. Leprince, Y. Anouar, un gruppo internazionale di studiosi che nasce dalla collaborazione fra l’UNICAL, Institut National de la Santé et de la Recherche Médicale e Université de Rouen Normandie.

A questo risultato si è arrivati grazie all'attenzione che i ricercatori da anni mettono nello studio di una proteina contenente selenio, prodotta dal corpo umano: la Selenoproteina T, che a livello cardiaco è molto presente nell'embrione e meno nei bambini, mentre è addirittura assente nel cuore dell’adulto.

Si è notato, però, che in caso di infarto miocardico avviene qualcosa di particolare. L'infarto, come si sa, si verifica quando si interrompe l'apporto di sangue a una parte del cuore. Questa condizione si può arginare ripristinando il flusso sanguigno, ma in ogni caso può portare a danno da ischemia-riperfusione(I/R). In quest’ultima ipotesi, cioè nei casi di cosiddetto ‘stress ossidativo’ del cuore, gli studiosi hanno rilevato come la proteina vada in iper-produzione e come un suo peptide, denominato 43-52, svolga un funzione protettiva.

Quindi, l'utilizzo del peptide 43-52, ha dimostrato che viene indotta una cardioprotezione, grazie ad un recupero della contrattilità e della riduzione dell'area di infarto.

L'obiettivo, quindi, è quello di trasformare il peptide in un vero e proprio farmaco, da utilizzare sia in fase post-infarto per incentivare i trattamenti terapeutici, sia come cardioprotettore per soggetti a rischio, come gli obesi.