Coronavirus, Giordano: "La Campania eccellenza nella Sanità. Ha avuto la sua rivincita"

Dopo due mesi di lockdown e quarantena, in Italia è partita ieri la Fase 2 dell'emergenza Coronavirus. Una riapertura parziale del Paese, con la graduale ripresa di alcune attività lavorative e commerciali e la possibilità, per i cittadini, di ricongiungersi con i propri cari. La parola d'ordine è "attenzione massima", perché bisogna scongiurare una seconda ondata dell'epidemia.

Ma per fare chiarezza su alcuni temi riguardanti il Covid-19, Eccellenze Meridionali ha contattato Antonio Giordano, accademico, oncologo, patologo, genetista e ricercatore napoletano, attualmente Direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine di Philadeplhia.

Situazione Coronavirus in Italia: che effetti potrà avere la riapertura del 4 maggio? Il clima può incidere positivamente? C’è davvero il rischio di una seconda ondata a ottobre?

"Gli effetti della riapertura sono imprescindibili dalle misure che adotterà il Governo ma anche dal comportamento della popolazione. Bisognerà essere capaci di identificare subito i nuovi contagi e contenerli così come bisognerà continuare ad attuare il distanziamento umano e necessariamente rendere obbligatorio l’uso della mascherina. Solo mantenendo alta l’attenzione si potrà scongiurare un ritorno dei contagi. Per quanto riguarda il cambiamento climatico non sappiamo ancora, con certezza, cosa accadrà rispetto al virus.Sappiamo che in genere i virus respiratori mostrano un andando stagionale con diffusione scarsamente efficiente in presenza di temperature più alte. I Coronavirus tendono ad essere virus invernali; con il caldo gli agenti patogeni possono avere qualche difficoltà a proliferare all’interno del tratto respiratorio superiore. Questo può dipendere sia dal virus stesso, che resiste meglio in condizioni più umide, sia da una minore efficienza del nostro sistema immunitario durante l’inverno. Ma ripeto, l'estate non ci salverà. Solo le persone, attenendosi alle raccomandazioni di distanziamento sociale, potranno contenere la diffusione del virus. Ad ottobre potremo vivere una seconda ondata. Tuttavia, lo scenario della pandemia cambia di settimana in settimana, quindi, non possono escludere alcuna possibilità".

- Il Sud ha retto bene, per molti è stata una sorpresa. Lei è napoletano, cosa pensa della Sanità meridionale anche (ma non solo) in relazione a questa emergenza?

"Io sono un “napoletano” prestato agli Stati Uniti e per me non è stata una sorpresa. Mio padre era un eccellente medico campano che ha lasciato un contributo importante in ambito oncologico. Ritengo la Campania un’eccellenza non solo per quanto riguarda la qualità dei medici, ma anche per le ottime università e lo svolgimento delle attività di ricerca. La situazione socio-economica di questa regione forse negli anni ha offuscato questa peculiarità, ma con la pandemia la Campania ha finalmente avuto la sua rivincita".

- Si è parlato tanto del dottor Ascierto e della sperimentazione a Napoli del farmaco anti-artrite utilizzato nei casi gravi del Covid-19. Che ruolo e che peso ha questo farmaco nella cura del virus?

"Il virus Sars-CoV-2 ha trovato l’intero mondo impreparato alla sua gestione. Per poter intervenire velocemente e limitare i danni l’unica speranza iniziale era quella di testare farmaci già approvati e usati per altre patologie di cui era nota l’efficacia. Tra questi, ha avuto un ruolo importante il Tociluzumab, usato in clinica per l’artrite reumatoide. Questo anticorpo monoclonale, pur essendo off-label, ossia non specifico per il virus, è in grado di contrastare l’eccessiva risposta autoimmune, riducendo i sintomi respiratori. Il miglioramento della gestione della sindrome respiratoria acuta, causata dal coronavirus, ha contribuito ad alleggerire le terapie intensive e ha ridotto il collasso di molte aziende ospedaliere".

- Quanto ci vorrà per ottenere il vaccino o una cura definitiva?

"Innanzitutto, sia che si tratti di un vaccino o di un farmaco specifico è necessario studiare la malattia per trovare la cura. Per poter parlare di vaccino, poi, abbiamo bisogno di sapere se le persone guarite svilupperanno anticorpi diretti anti- SARS-CoV-2 e se questi saranno in grado di bloccare il contagio. Per farlo abbiamo bisogno della sperimentazione animale e di tutta la fase pre-clinica e clinica. Per ottenere l’antidoto sono necessari tempi più o meno lunghi e, tanto per garantire l’efficacia e, contemporaneamente, la sicurezza per la popolazione mondiale. Per il vaccino sono in corso strategie molto promettenti: una società cinese sta sviluppando un candidato vaccino in fase 2 (sugli uomini per testarne l’efficacia) e una società americana ha sviluppato una differente strategia in fase 1. Entrambe le società hanno raggiunto un obiettivo importante in tempi davvero molto rapidi! Attualmente sono in fase di sperimentazione svariati composti, alcuni off-label quindi che non hanno alcun effetto sul virus. Tra questi, il sopramenzionato Tocilizumab la cui efficacia è stata descritta in uno studio francese condotto su 129 pazienti. Ancora dati promettenti si sono visti con il Remdesivir, un antivirale utilizzato per le infezioni da virus Ebola. Uno studio americano randomizzato e controllato su oltre mille pazienti ha mostrato dei benefici in termini di riduzione dei giorni di ospedalizzazione. Infine, voglio menzionare il trial clinico, “BREATHE” in corso alla Temple University . Il Prof. Gerard J Criner ha arruolato circa 200 pazienti per testare l’efficacia del gimsilumab, un anticorpo monoclonale diretto contro il fattore stimolante le colonie granulocitarie-macrofagiche (GM-CSF), che ha un ruolo chiave dell'iperinfiammazione polmonare. Con la dovuta cautela, si iniziano a vedere i primi risultati positivi con l’utilizzo di alcuni di essi".

- Il modello dell’Italia meridionale (sanitario e non solo) è stato elogiato anche all’estero: Lei vive in America, Le è capitato di cogliere qualche opinione in merito?

"Una delle poche note positive riconducibili a questa pandemia è proprio questa! L’Italia ha ricevuto elogi per la gestione della situazione dalla Cina e dal Regno Unito. Si è parlato dell’Ospedale “Cotugno” di Napoli, ha evitato di diventare un focolaio di infezione. Spero che questo servirà per rilanciare la ricerca in Italia, tutto ciò ovviamente mi inorgoglisce. Ovviamente anche in America si osserva ciò che si fa in Italia, soprattutto in ambito scientifico non esistono confini".

- In Italia la curva del contagio sta scendendo: da medico, è ancora presto e rischioso sbilanciarsi verso l’ottimismo?

"I risultati degli ultimi giorni ci fanno ben sperare: due studi confermano l’efficacia del tocilizumab e del remdesivir, rispettivamente uno francese e l’altro americano; si è notato che molti pazienti generano anticorpi contro il virus. Quindi, con la dovuta prudenza, direi che la scienza ha fatto passi da gigante e ci aiuta ad essere più ottimisti".

- A cosa sta lavorando attualmente con il suo gruppo di ricerca?

"La mia attività di ricerca, da quando nel 1993, ho individuato e clonato il gene oncosoppressore RBL2/p130, si è principalmente focalizzata sullo studio dei meccanismi di deregolazione del ciclo cellulare nel cancro. Ma oggi è ben noto che il tumore è una patologia multifattoriale e che tra le varie cause dello sviluppo c’è anche l’esposizione ad inquinanti ambientali. Mi occupo di studiare precise alterazioni molecolari al fine di identificare nuove strategie terapeutiche per il mesotelioma ed il tumore al polmone, la cui eziologia è correlata all’esposizione ad inquinanti ambientali. Contestualmente, da anni, interesso alla situazione campana, meglio nota come “Terra dei Fuochi”, incoraggiando studi di biomonitoraggio, per incentivare attività di bonifica e provare a far ridurre l’incidenza di svariate patologie. Ancora, valuto le potenzialità benefiche di alcuni alimenti che possono apportare benefici in termini di prevenzione e di miglior efficacia di trattamenti chemioterapici. Infine, mi sto dedicando attivamente allo studio del nuovo virus Sars-Cov 2. Tutti questi studi sono solo apparentemente scollegati tra loro, ma il fine ultimo e comune è di migliorare la qualità della vita dei pazienti e ridurre l’insorgenza di patologie severe".

- Lei è costantemente in contatto con l’Istituto Tumori di Napoli Pascale e il CROM di Mercogliano (Avellino): ci parli di queste realtà e di questo ponte Campania-America.

"Innanzitutto sottolineo che il CROM di Mercogliano è a tutti gli effetti un componente dell’INT Pascale. Si tratta di un unico istituto. Dal 2007 dirigo a livello sperimentale una linea di ricerca al CROM coinvolta in tutti i progetti sopramenzionati. Pertanto, Mercogliano e Philadelphia da anni sono molto più che collegate, i ricercatori italiani e americani sono costantemente in collaborazione e tutti gli italiani del mio team hanno potuto effettuare un periodo alla Temple. Come ho già detto i miei studi sono tra loro interconnessi: la ricerca sul cancro ormai è imprescindibile dai fattori ambientali, così come gli studi sull’alimentazione e sui danni che subisce il DNA. Il fine ultimo e’ di ridurre l’insorgenza di malattie croniche-degenerative, tra cui principalmente il cancro. In America probabilmente è più semplice fare ricerca, per via di una gestione burocratica più snella, ma spero che la pandemia abbia fatto chiarezza sul fondamentale ruolo che ha la ricerca a livello mondiale, e che quindi venga incentivata la scienza anche in Italia".