Franco Pepe: "Per diventare il pizzaiolo più bravo al mondo ho studiato e mi sono indebitato"

Il successo non arriva sempre per caso. Spesso bisogna impegnarsi veramente tanto e fare tanti sacrifici per poter essere considerato una vera eccellenza mondiale. Questo è il segreto della storia di Franco Pepe, un uomo, un pizzaiolo, un imprenditore che da tre anni domina il mondo della pizza dall'alto. La sua pizzeria, Pepe in Grani, si è classificata per tre anni consecutivi la migliore d'Italia e del mondo.

La sua storia narra di come diventare un'eccellenza partendo dal Meridione d'Italia e decidendo di restare nella sua terra, a Caiazzo, un paese di 5 mila abitanti in provincia di Caserta. La sua attività è diventata una case history che si studia alla facoltà di Economia e ora le università fanno a gara per averlo nelle aule per raccontare come si fa a diventare il numero uno.

Come spiega in un'intervista all'Huffington Post, Pepe racconta che la sua avventura è iniziata appena 7 anni fa: "Nel 2012 ho osato, anche se tutti mi davano del pazzo. Ho creduto nelle mie idee e sono andato avanti. Solo chi ha le idee chiare e forza di volontà ce la può fare".

Il padre era pizzaiolo ma lui non si è accontentato di lavorare nella pizzeria di famiglia e ha deciso anche di studiare: "Ho avuto una doppia vita per molto tempo: di giorno studiavo e di sera andavo a lavorare con papà. Studiavo per diventare professore di educazione fisica, perché all’epoca, negli anni Settanta, fare il pizzaiolo poteva sembrare un lavoro umile. I miei genitori volevano che studiassi e che facessi una vita diversa dalla loro. Ho fatto l’insegnante, ma alla sera tornavo sempre al forno della pizzeria”.

Tra i tanti mestieri che ha fatto possiamo menzionare il salumiere e il postino a Milano (scaricava i treni postali). Ma non ha mai tagliato il cordone che lo univa alla pizzeria di famiglia: "Preferivo il turno di notte perché poi così avevo diritto a due giorni di riposo ogni settimana. Sceglievo sempre il sabato e la domenica così riuscivo ad andare a casa, in pizzeria, e poi tornavo a Milano il lunedì".

Alla domanda "Perchè invece a Milano non ha mai pensato di aprire una sua pizzeria?", la risposta è stata:

"Penso che sia pericoloso: nel senso che ho paura che sia facile a Milano confondere il senso del mio lavoro. Che è fatto di studio, di amore per il mio territorio e per la gente. A Milano come anche nelle altre grandi città. Per me è fondamentale l’ascolto del cliente, il rapporto con le persone. Attorno alla pizzeria ruotano tante figure del territorio, contadini che sono diventati piccoli imprenditori. Durante l’Expo avrei anche avuto la possibilità, la capacità di aprire a Milano, ma ho preferito di no. È anche una questione di rispetto del prodotto: la pizza deve restare popolare, non può essere una questione di moda. Per me la pizza gourmet non esiste: la pizza deve essere autentica".

Pepe ha deciso di fare consulenza e dare una formazione specifica per chi vuole eccellere nel mondo della panificazione e delle pizze: "Invece di aprire nuovi locali ho preferito scegliere le consulenze: a La Filiale in Franciacorta (n. 52 nella classifica 50 Top Pizza 2019), a Kytaly Ginevra (sesta nella classifica 50 Top Pizza Europa 2019) e a Kytaly Hong Kong (Miglior pizza d’Asia per 50 Top Pizza 2019). Poi per me è una grande soddisfazione fare formazione. Giro il mondo per aiutare i ragazzi a trovare la loro strada. È importante che ognuno abbia la possibilità di esprimere se stesso: per me è stato fondamentale. Ma lo studio è importante. La passione non basta. Dico sempre ai ragazzi che devono lavorare nelle cucine dei grandi ristoranti prima di aprire la loro pizzeria: devono conoscere il prodotto e imparare a manipolarlo. I corsi di formazione che esistono sono per lo più regionali e di poche ore: non servono a nulla dal punto di vista tecnico e scientifico".

Pepe ha svelato che ha studiato parecchio per diventare il numero uno e continua a farlo in collaborazione con un nutrizionista e un agronomo, per creare dei menù che si ispirano ai principi della dieta mediterranea, in modo da sdoganare la pizza dal concetto di "strappo alla regola": "Così da inizio anno proponiamo una pizza che si potrebbe anche mangiare tre volte a settimana perché è equilibrata nel contenuto di proteine, carboidrati e lipidi. È solo un po’ più piccola e viene accompagnata da un contorno di fibre, erbe spontanee, e da un dressing che serve sia dal punto di vista nutrizionale che per un discorso di sostenibilità: serve per inzupparci il cornicione della pizza. Così nel piatto non resta nulla. Ci sono undici pizze così in menù. E tutte vengono raccontate al cliente, in modo che abbia anche dei consigli nutrizionali corretti sul prodotto che sta mangiando. Sono un’ex insegnante di educazione fisica, so perfettamente che impatto ha l’alimentazione sul corpo".

La famiglia non ha appoggiato inizialmente la sua decisione di aprire una sua attività nel centro storico di Caiazzo:

"All’inizio non è stato facile. Mi davano del pazzo: lasciare un’attività avviata per aprire in un posto dove tutti scappavano, nel centro storico. Io ci credevo, mi sono indebitato e sono andato avanti. È stato difficile perché mio papà era mancato da poco, e quindi io e i miei fratelli dovevamo continuare l’attività di famiglia. Ma non era la mia strada. Non potevo restare lì. Avevo bisogno di un progetto tutto mio. Non ho tolto nessuno dall’azienda di famiglia e ho aperto una piccola impresa con solo sette persone. All’inizio ho parlato chiaro ai miei dipendenti: gli ho detto che non sapevo quanto sarebbe durata e se sarei riuscito a pagargli lo stipendio a fine mese. Sono rimasti, e oggi siamo in 42. I miei fratelli invece sono rimasti nella vecchia pizzeria, e continuano a fare la pizza di papà".

Oggi nella sua pizzeria in vicolo S. Giovanni Battista arrivano in media 14 mila persone al mese per la sua pizza. Un successo che sottolinea che per diventare un'eccellenza c'è bisogno di grande passione, caparbietà e tanto sacrificio!